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EL CLUB DE LOS MONSTRUOS

The Monster Club

1981 GB
abril 11, 1981

Un vampiro muerde a un escritor para saciar su sed de sangre. Una vez repuesto, le ofrecerá asistir a una discoteca regentada por monstruos, donde le relatará tres historias.

Directores

Roy Ward Baker

Reparto

Vincent Price, John Carradine, Donald Pleasence, Stuart Whitman, Britt Ekland, Richard Johnson, Anthony Steel, Warren Saire, Barbara Kellerman, Simon Ward
Terror Comedia
HMDB

RESEÑAS (1)

RG

Roberto Giacomelli

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Uno scrittore di romanzi dell’orrore viene avvicinato in un vicolo da Eramus, un anziano e affamato vampiro che si nutre di un po’ del suo sangue. Il vampiro, per sdebitarsi del piccolo “pasto”, conduce lo scritture in un esclusivo nightclub frequentato solo da mostri e qui gli racconta tre storie che potrebbero fungere da ispirazione per i suoi prossimi libri. Nella prima una donna si fa assumere come segretaria da un ricco e misterioso uomo con l’intento di rubargli i soldi che ha in cassaforte, ma l’uomo è un “fischia morte”, una creatura che riesce ad uccidere con un semplice fischio. Nella seconda un ammazza vampiri prende di mira la famiglia di un ricercatissimo vampiro fuggitivo. Nella terza un regista cinematografico cerca le locations per il suo prossimo film e giunge in un paesino abitato da malvagie creature che divorano i cadaveri. Tra gli anni ’60 e gli anni ’70 in Inghilterra si facevano film horror a quantità industriale. La più prolifica e fortunata casa di produzione è stata la nota Hammer, ma il mercato era comunque affollato da una pluralità di produzioni differenti che ci hanno lasciato veri e propri capisaldi della cinematografia di genere. Tra le tante case di produzione, una di quelle che si pose più in vista fu la Amicus che da molti venne considerata la vera concorrente diretta della Hammer. Specialità della Amicus erano gli horror ad episodi, pratica redditizia che riusciva loro piuttosto bene visto che alcuni dei film più noti e riusciti di questa tipologia portano proprio la loro firma (basti pensare a “Le cinque chiavi del terrore”, “La bottega che vedeva la morte” o “La casa che grondava sangue”). Nel 1980, proprio affidandosi alla classica struttura ad episodi, la Amicus produce il suo ultimo film, “Il club dei mostri”, un canto del cigno che mostra tutta la stanchezza di un filone sfruttato ormai fino all’osso. Infatti “Il club dei mostri” è un prodotto molto altalenante, vistosamente “vecchio” per il periodo in cui è stato prodotto, malgrado il regista Roy Ward Baker (“Vampiri Amanti”; “Barbara il mostro di Londra”) tenti a più riprese di rinnovare la formula. Delle tre storie proposte abbiamo una perfetta scaletta che ci mostra un picco e un punto bassissimo, naturalmente separati dalla classica via di mezzo. Il migliore dei tre è senza dubbio l’ultimo episodio, in cui viene raccontata con molta efficacia la disavventura di un regista capitato in un paese abitato da letali ghoules. Il protagonista è interpretato efficacemente da Stuart Whitman (“La spiaggia della paura”; “Quel motel vicino alla palude”), il classico “yes man” introdotto in un mondo macabro che sembra il set di uno dei suoi film. I decadenti mangiatori di cadaveri vengono diverse volte chiamati vurdalak, ovvero una specie di vampiro tipico del folklore russo, ma non hanno propriamente le caratteristiche di questi esseri, ma risultano sicuramente più vicini agli arabi ghoules. Diverse ingenuità sono sparse qua e là (i mostri temono la croce imbracciata dal protagonista ma si aggirano tranquillamente nel cimitero, colmo di croci!), ma in generale questo episodio ha una buona efficacia macabra e un’atmosfera davvero azzeccata. Nel mezzo si pone il primo episodio dedicato alla singolare figura del Fischiamorto, uno strano essere che ha la facoltà di ridurre in cenere chiunque semplicemente emanando un fischio. L’episodio, che si avvale della bella interpretazione di James Laurenson, ha un’idea di partenza originale e uno sviluppo interessante, avvalorato dalla toccante e riuscita figura del signor Raven, il Fischiamorto, un essere solo e malinconico, intrappolato in un ambiente decadente e fatiscente, in cui solo l’amore dei suoi colombi e la presenza femminile della sua ospite possono rallegrarlo. Purtroppo però l’episodio prosegue con un ritmo blando e trascura completamente qualunque elemento per focalizzare l’attenzione solamente sul protagonista; anche il finale troppo sbrigativo lascia un poco con l’amaro in bocca. Il secondo episodio, che vede al centro dell’azione una famiglia di vampiri perseguitata da un gruppetto di ammazza vampiri, è indubbiamente il più debole. La premessa di voler mostrare la vicenda attraverso la prospettiva di un bambino, inconsapevole della natura soprannaturale del padre e dunque incapace di capire il perché di alcuni eventi, era sicuramente promettente, ma la forza dell’approccio viene immediatamente abbandonata per incanalarsi fin da subito in territori già battuti molte volte, per di più mescolando al tutto una vena di humour a tratti imbarazzante e poco divertente. Donald Pleasence nei panni del capo ammazza vampiri è particolarmente anonimo. I tre minifilm sono collegati da una cornice che vede protagonisti un divertente (e divertito) Vincet Price nel ruolo di un vecchio vampiro che fa da Virgilio al quasi dantesco John Carradine, scrittore in cerca di storie. Le scene all’interno del club sono votate all’ironia e al grottesco, a volte riuscite (vedi la scena dello spogliarello TOTALE della stripper) altre meno (le maschere di carnevale che indossano gli attori per apparire “mostri”). Ed è proprio nell’episodio di cornice che si cerca di connotare il film all’interno della sua epoca, usando humour e musica tipici del periodo. Soprattutto la musica sembra ricoprire un ruolo fondamentale con l’inserimento di vere e proprie performance canore a commentare ogni episodio, eseguite sul palco da veri artisti del panorama beat inglese di fine anni ’70. In conclusione si può considerare “Il club dei mostri” un prodotto riuscito solo in parte, sicuramente guardabile e riguardabile e forte di un team di professionisti di prim’ordine ma anche molto mediocre, soprattutto se si considerano i canoni dei prodotti analoghi della Amicus (ma non solo). Solo per cultori.