RG
Roberto Giacomelli
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Il Dott. Andrea Valenti, durante un attimo di rabbia, uccide involontariamente una donna nel suo appartamento, poi si sbarazza del cadavere facendolo a pezzi e nascondendone i resti in un cantiere, in mezzo al cemento. Il giorno dopo, Evelyn si reca da Andrea preoccupata per l’assenza di sua sorella Daniela, che non è tornata a casa a dormire; il dottore nega di aver visto la donna, ma Evelyn nota l’auto di Daniela parcheggiata sotto la casa di Andrea. Insospettita, Evelyn avverte la polizia che comincia a indagare proprio sul Dott. Valenti, il quale, nel frattempo, riceve telefonate e pacchi da un misterioso individuo che lo minaccia.
Giunto a dirittura d’arrivo, il thriller-erotico all’italiana anni ’70 sforna uno di quei film senza infamia e senza lode che oggigiorno poco o nulla viene ricordato. “Il fiore dai petali d’acciaio” appartiene a quel sottofilone del thriller molto frequentato da Sergio Martino e soprattutto Umberto Lenzi, ovvero quello che mescola le trame gialle all’audacia di alcune scene erotiche, tralasciando le situazioni brillanti e/o violente che, ad esempio, contraddistinguevano il cinema di Dario Argento.
Il film in questione, in realtà, anticipa un minimo
della violenza visiva che riempirà i thriller all’italiana da “Profondo rosso” in poi, suggerendo - più che mostrando – uno smembramento piuttosto credibile e un paio di omicidi cruenti. Ma ciò che preme maggiormente al regista Gianfranco Piccioli è la messa in scena erotica, l’esaltazione dei corpi nudi delle sue attrici e la costruzione di alcune situazioni torbide e morbose. Innanzitutto diciamo che Piccioli poteva permetterselo, dal momento che aveva nel cast una futura star della commedia erotica italiana come Paola Senatore (che ogni volta che compare è svestita!) e Pilar Velàsquez (“Un bianco vestito per Marialè”; “Ragazza tutta nuda assassinata nel parco”), che si esibiscono in nudi del tutto gratuiti e scene lesbo (sembra che sia particolarmente gradita dai fan quella subacquea); inoltre viene utilizzato un armamentario di particolari narrativi pruriginosi che vanno dalla ninfomania all’incesto, affidando così a tali orpelli l’attenzione dello spettatore.
Va da se che se l’interesse primario del suddetto film risiede in questi aspetti il valore intrinseco al prodotto è inversamente proporzionale ai connotati exploitativi. Eppure “Il fiore dai petali d’acciaio” presenta anche un discreto ritmo narrativo e una trama gialla piuttosto coinvolgente che non mancheranno di tenere sull’attenti lo
spettatore maggiormente interessato al dipanarsi della storia. Peccato però che la sceneggiatura di Gianni Martucci – che poi passerà alla regia con il pessimo “Thrauma” e il poveristico “I frati rossi” – alterni a buone intuizioni e un intreccio diverso dal solito un finale tanto implausibile quanto maldestro, completamente affidato a “coincidenze” troppo grandi per essere sostenute dalla sospensione dell’incredulità dello spettatore medio.
Buono il cast di volti noti che va da Gianni Garko (“Sette note in nero”; “La notte dei diavoli”) nel ruolo del Dott. Valenti alla lenziana Carroll Baker (“Così dolce…così perversa”; “Il dolce corpo di Deborah”) in quello di Evelyn. Oltre alle già citate Senatore e Velàsquez, compare anche Ivano Staccioli (“La morte accarezza a mezzanotte”; “KZ9 – Lager di sterminio”) e Umberto Raho (“La notte che Evelyn uscì dalla tomba”; “Gli orrori del castello di Norimberga”).
Solo per appassionati di thriller all’italiana col pallino della completezza.