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Roberto Giacomelli
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Michael Kovak, finito il liceo, deve scegliere se portare avanti l’impresa di pompe funebri familiare o entrare in seminario per seguire la strada della fede. Il ragazzo intraprende questa seconda via ma è proprio la fede a mancargli, così un suo superiore, pur di evitare le sue dimissioni, gli consiglia di iscriversi a un corso di esorcismo a Roma. Michael, dopo qualche resistenza, accetta e qui viene affiancato a padre Lucas, noto esorcista gallese. Inizialmente i modi poco ortodossi dell’esorcista tendono a spingere Michael ancor più verso lo scetticismo, ma dopo alcuni casi di possessione demoniaca a cui partecipa in prima persona le sue certezze cominciano a vacillare.
Il Diavolo sembra tornato decisamente di moda. Ad Hollywood e non solo deve essersi scatenata una vera e propria “vocazione” al filone demoniaco/esorcistico, soprattutto considerando che nell’ultimo anno demoni persecutori hanno terrorizzato tranquille famiglie in “Paranormal Activity” e “Paranormal Activity 2” e casi di possessione demoniaca trattati in maniera poco convenzionale sono stati al centro di “Rec 2” e “L’ultimo esorcismo”. Con “Il Rito”, nuovo appuntamento con il Maligno firmato dallo svedese Mikael Hafstrom, siamo però decisamente in territori più classici, in cui la lotta tra Bene e Male è descritta con un linguaggio più vicino al mitico “L’Esorcista” piuttosto che alle sperimentazioni (ormai diventate convenzioni) del mockumetary.
Come spesso accade nel genere horror, ad inizio film campeggia minacciosa la dicitura “Basato su fatti realmente accaduti”, che in un film del
filone esorcistico equivale a una dichiarazione di “strizza assicurata” e in effetti Hafstrom (“1408”) un paio di volte coglie nel segno, soprattutto nel tratteggiare il caso di possessione della ragazza incinta a cui Michael e padre Lucas stanno lavorando. Ma i fatti realmente accaduti sono davvero tali? Si tratta di documentazione giornalistica, più precisamente a monte di “Il Rito” c’è un libro di Matt Baglio, “Storia vera di un esorcista di oggi”, in cui il giornalista ha riportato in modo molto dettagliato alcune sue indagini sui casi di possessione demoniaca curati dal prete Gary Thomas. Nel film vengono cambiati i nomi e naturalmente si romanza il tutto cavandone una sceneggiatura (opera di Micahel Petroni) strutturata nel modo più classico, con tanto di strizzate d’occhio verso l’horror puro, fatto di demoni incarnati e inquietanti visioni oniriche.
Ma c’è una cosa che in “Il Rito” non convince troppo, almeno non un pubblico più laico, ed è l’approccio filo-cattolico che ad un certo punto diventa preponderante. Il film parte da un interessante punto di vista, quello di un ragazzo che per sfuggire dallo squallore di una vita pre-programmata decide di “provare” a farsi prete pur non avendone minimamente la vocazione. Il cammino di Michael è fatto di dubbi e incertezze, il
ragazzo propende sempre per una spiegazione scientifica e razionale a tutto e controbatte ad ogni sintomo di possessione demoniaca con una credibile teoria medica e psichiatrica. Come accade praticamente in ogni film del filone, il protagonista scettico è costretto a battersi con l’evidenza dei fatti che sembrerebbe dar ragione all’origine soprannaturale degli eventi, fino a una totale conversione alla fede, unica arma per battere il male. Questo è risaputo, da “L’Esorcista” a “L’esorcismo di Emily Rose”, passando per “Stigmate” e “Lost Souls”, la regola è sempre la stessa: lo scontro col Maligno che fa ritrovare la fede a chi l’ha perduta o non l’ha mai avuta. Diciamo però che “Il Rito” a volte enfatizza troppo questo aspetto, lo carica a tal punto e poi lo urla con tutte le sue forze fino a farlo diventare il vero tema portante.
Come si diceva, “Il Rito” possiede comunque una certa efficacia nell’inserirsi nel filone esorcistico, lo fa senza particolari novità ma ha comunque il merito di risultare interessante per la storia narrata e coinvolgente nell’atmosfera che riesce a creare. Buona parte del merito va anche alla Roma plumbea che fa da sfondo alle gesta dei protagonisti, una Roma incapace di sfuggire a qualche stereotipo tipicamente americano (il
traffico, il vigile che urla, le solite location da cartolina) ma particolarmente suggestiva, quasi gotica. Su questo sfondo si muovono bravi e convincenti attori, Colin O’Donoghue (“I Tudors”), che interpreta Michael Kovak, Alice Braga (“Predators”), che è la giornalista Angelina, e soprattutto Anthony Hopkins (“The Wolfman”), che tratteggia Padre Lucas in modo originale e sopra le righe. Di contorno ci sono anche Rutger Hauer (“The Hitcher”), Marta Gastini (“Io & Marilyn”), Maria Grazia Cucinotta (“Il Postino”) e Giampiero Ingrassia (“Ti stramo”).
In controtendenza ai canoni del filone, “Il Rito” appare più efficace nella parte di preparazione, quando il Diavolo si manifesta timidamente lasciando dubbi, piuttosto che nel climax esorcistico finale, troppo verboso e a tratti inutilmente pacchiano. Per la serie “il diavolo è nei dettagli”.
In conclusione, “Il Rito” si presenta come un buon film da annettere al filone esorcistico, capace di intrattenere e interessare gli appassionati del genere. Gli manca una sua originalità capace di farlo emergere tra la massa, ma il temerario estremismo clericale e la singolare figura di Padre Lucas potrebbero diventare suoi segni di riconoscimento negli anni.