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LA MATANZA DE TEXAS: EL ORIGEN

The Texas Chainsaw Massacre: The Beginning

2006 US
octubre 5, 2006

1969. En Estados Unidos, los efectos de la guerra de Vietnam son catastróficos: las bajas son innumerables, pero el reclutamiento continúa. Dean Hill, que acaba de cumplir 18 años, es llamado a filas. Su hermano Eric, que acaba de regresar de Vietnam, contra los deseos de su novia decide volver a alistarse en la Marina para proteger a su hermano. Pero los planes de Eric no coinciden con los de Dean, que ha planeado huir a México con su novia para evitar la guerra. Pero antes de ejecutar sus planes, las dos parejas deciden ir a Texas para pasar un último fin de semana de diversión.

Directores

Jonathan Liebesman

Reparto

Jordana Brewster, Taylor Handley, Diora Baird, Matt Bomer, R. Lee Ermey, Lew Temple, Andrew Bryniarski, Tim DeZarn, Lee Tergesen, Cyia Batten
Horror
HMDB

RESEÑAS (1)

RG

Roberto Giacomelli

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1939, Texas. Una donna obesa, impiegata in un lurido mattatoio, partorisce un bambino deforme e poi lo getta in una cassonetto della spazzatura. Il bambino viene ritrovato dalla signora Hewitt, che lo porta a casa e lo cresce come un figlio nella sua famiglia. 1969, Texas. I fratelli Eric e Dean sono in procinto di partire per la guerra in Vietnam, decidono così di fare un ultimo viaggio on the road con le rispettive ragazze Chrissie e Bailey. Un tentativo di rapina da parte di una motociclista causa un violento incidente alla vettura dei quattro ragazzi che, feriti e confusi, vengono immediatamente soccorsi dallo sceriffo Hoyt. In realtà, lo sceriffo non ha nessuna intenzione di aiutare gli incidentati, ma li conduce nella sua abitazione con intenzione di ucciderli e trasformarli in cibo per tutta la sua famiglia…la stessa famiglia che ha cresciuto il bambino abbandonato nel cassonetto dei rifiuti: Leatherface! In un periodo in cui i grandi miti del passato vengono riproposti per le nuove generazioni in versioni edulcorate e riadattate ai gusti moderni, era facile attendersi una riscrittura dell’uomo nero con motosega per eccellenza: Leaterface. Però tutto ciò è già accaduto tre anni fa, con il bel riadattamento del capolavoro di Tobe Hooper, “Non aprite quella porta”; oggi non si fa altro che approfondire la tragica figura di Leaterface, smembrarla e costruirgli una psicologia sempre più convincente, andando così a gettare uno sguardo su quella che è stata la sua genesi vitale e professionale. “Non aprite quella porta: l’inizio” si propone dunque come un prequel del film realizzato nel 2003 da Marcus Nispel e cerca di soddisfare la più morbosa curiosità spettatoriale sulla nascita di una delle più incisive icone dell’horror post-moderno. Per sottolineare, beffardamente e ironicamente, il destino da macellatore (di bestie e persone) di Leatherface, gli sceneggiatori Sheldon Turner e David J. Show fanno nascere il personaggio (noto con il nome Thomas Hewitt) proprio in un sudicio mattatoio, in una sequenza di dolore e amniotico disgusto che bene introduce tutto l’orrore che seguirà nel procedere della pellicola. Leatherface nasce come un disadattato, viene abbandonato, ancora sporco di sangue, nel cassonetto della spazzatura adiacente al mattatoio e trascorre un’infanzia e una giovinezza all’insegna dello scherno e della vergogna per una deformazione fisica che gli interessa il volto, costantemente coperto da qualunque cosa lo tenga lontano dal curioso occhio umano. La chiusura del mattatoio in cui è nato e poi ha iniziato a lavorare, coincide con l’iniziazione all’omicidio: incitato da una famiglia di psicopatici, il ragazzo trovava il suo unico sfogo nel maciullare la carne del bestiame, ma una volta che i suoi bassi istinti vengono castrati dall’unico innocuo metodo antistress, la rabbia accumulata per anni trova una valvola di sfogo nell’omicidio. Ed ecco che nasce il Leatherface boogeyman (ancora una volta interpretato da Andrew Bryniarski, unico attore ad aver vestito i panni di Faccia di cuoio per la seconda volta) che il pubblico dei film horror ha imparato ad amare, armato di motosega e pronto a strappare facce umane per la costruzione di macabre maschere. In questo prequel si torna a sottolineare l’aspetto cannibale della famiglia di Leatherface, dopo che la tematica era stata completamente trascurata nel precedente film: la famiglia di sadici freaks, si ritrova a divorare letteralmente i membri della società-bene che non li ha accettati, giustificando il gesto con la classica reminescenza bellica del “pasto per necessità di sopravvivenza”, efficacemente esposto da un divertito e sempre più sadico sceriffo Hoyt, interpretato ancora una volta dal superlativo R. Lee Ermey (“Full metal jacket”). Ma “Non aprite quella porta: l’inizio” è costantemente un concentrato di atrocità che non si fermano al semplice accenno all’aperto cannibalismo della famiglia, ma si manifestano attraverso il compiaciuto sadismo dello sceriffo, che spesso si spinge ai limiti della sopportazione umana, e alle numerosissime scene splatter che hanno per protagonista la rombante motosega lurida di sangue e grasso, brandita da Leatherface. Probabilmente con questo film si ha a che fare con il capitolo più cruento ed esplicito dell’intera saga (che conta ad oggi 6 film), che non lascia davvero nulla all’immaginazione dello spettatore. Escludendo il prologo ambientato nel 1939, la storia, per tutto il primo tempo, segue parallelamente le vicende della famiglia Hewitt e le avventure delle due coppie di protagonisti, discostandosi così in parte dal canovaccio creato da Hooper ed Henkel nel primo film del 1974, per poi tornare alla solita collaudata formula nella seconda parte del film, che ci propone anche la scena cult della saga, cioè quella della cena, in cui sono riuniti a tavola tutti i membri della famiglia cannibale, le vittime superstiti e i cadaveri. I personaggi negativi, arrivati a questo punto, sono efficacemente delineati e godono tutti di quella personalità della cui mancanza avevano purtroppo sempre sofferto nella saga di “Non aprite quella porta”, caratterizzata da sempre nuove famiglie (ad eccezione del sempre presente Leatherface); anche i personaggi positivi, stranamente, sono sufficientemente forniti di personalità, riuscendo così ad integrasi a perfezione nel contesto storico in cui è inscritta la pellicola, cioè l’America rurale dei fine anni ’60, un periodo di rinnovamento ideologico per i giovani, ma anche di grande sofferenza (e vergogna) per un Paese che si sta rendendo conto del disastro fisico e morale che si sta compiendo in Vietnam. Non a caso i due fratelli protagonisti sono diametricalmente opposti: protettivo, patriottico e repubblicano Eric; più voglioso di libertà e pacifista Dean, che architetta una diserzione ad hoc con tanto di fuga in Messico. L’unica pecca, anzi “non pregio”, che si può attribuire a “Non aprite quella porta: l’inizio” è la mancanza di una vera personalità artistica dietro l’opera, che viene diretta da Jonathan Liebesman (“Al calare delle tenebre” e il corto “Rings”, prequel di “The Ring 2”) sulla mera imitazione della precedente pellicola di Marcus Nispel, con conseguente identica resa di marciume e disgusto unita ad una curatissima fotografia desaturata di Lukas Ettlin. Per il resto è puro divertissement al sangue che i fans di Leatherface non possono mancare di apprezzare.