P.O.E. Poetry of Eerie backdrop
P.O.E. Poetry of Eerie poster

P.O.E. POETRY OF EERIE

2011 IT
octobre 30, 2011

Si tratta di un film ad episodi diretto da vari registi, dedicato allo scrittore statunitense Edgar Allan Poe; Gli autori interpretano in modo personalissimo e moderno alcuni dei più famosi racconti dello scrittore. Il film è caratterizzato da un'eterogeneità stilistica in cui l'unico filo conduttore di tutte le storie proprio la paternità di Edgar Allan Poe. Tra i vari episodi, per esempio, troviamo Il gatto nero diretto da Paolo Gaudio che è stato totalmente realizzato in claymation. Tra i vari episodi si può evidenziare Il giocatore di scacchi di Maelzel diretto da Domiziano Cristopharo che, insieme ad Angelo Campus, è uno dei fautori del progetto. L'episodio è stato sceneggiato da Andrea Cavaletto e interpretato dallo stesso Angelo Campus e dal tenore Luca Canonici. Tra gli altri tanti attori presenti nel film possiamo anche evidenziare la partecipazione di Laura Gigante nell'episodio La sfinge di Alessandro Giordani.

Réalisateurs

Alessandro Giordani, Angelo Capasso, Yumiko Itou, Manuela Sica, Bruno Di Marcello, Edo Tagliavini, Giovanni Pianigiani, Rosso Fiorentino, Giuliano Giacomelli, Matteo Corazza, Paolo Gaudio, Domiziano Cristopharo, Paolo Fazzini, Simone Barbetti, Giuseppe Capasso

Distribution

Angelo Campus, Francesco Roder, Luca Canonici, Laura Gigante, Mariano Aprea, Ruth Morandini, Elettra Gozzi, Lorenzo Semorile, Giovanni Morassutti, Giulia Morgani
Horror
HMDB

CRITIQUES (1)

RG

Roberto Giacomelli

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Quindici autori italiani si cimentano con la libera trasposizione filmica di tredici opere dello scrittore americano Edgar Allan Poe. I testi presi come riferimento sono: Il silenzio, La sfinge, Gli occhiali, Le vicende relative al caso del signor Valdemar, Il cuore rivelatore, Le avventure di Gordon Pym, Il gatto nero, Ligeia, Il corvo, L’uomo della folla, Berenice, Il giocatore di scacchi di Maelzel, Canto. Quante volte l’immortale Edgar Allan Poe è stato portato sul piccolo e grande schermo? Tante, tantissime, forse troppe… perfino difficile farne un excursus filologicamente completo; dal celebre “La caduta della casa degli Usher” di Epstein ai recenti tentativi hollywoodiani con il thriller biopic “The Raven”, passando per i capolavori di Corman anni ‘60, eppure un’operazione come “P.O.E. – Poetry of Eerie” mancava. L’idea è nata a Domiziano Cristopharo insieme a Giovanni Pianigiani nell’estate 2011, ridendo e scherzano davanti a una birra nel quartiere Pigneto di Roma, una di quelle proposte che sanno di goliardico irrealizzabile, che nascono e muoiono proprio con quella birra ghiacciata. Invece “P.O.E” ha preso realmente vita ed è stato portato a termine. Il tempo di mettere su un team di registi e di stilare un vero e proprio manifesto d’intenti che nelle parti salienti spiega: “P.O.E. Poetry Of Eerie” (Poesia del Lugubre) vuole inaugurare la rinascita di un MOVIMENTO COLLETTIVO, dove si annulla l’egocentrismo del singolo a favore di un insieme di energie, esperienze, correnti, movimenti, idee, linguaggi… un cinema dove il soggetto/oggetto è il film, e non il regista o gli attori.[…] Unico requisito richiesto: spirito di gruppo e libertà! […] Quello che state per vedere è il frutto di quella scommessa:14 registi, 13 racconti... un solo autore: POE. Il punto focale del progetto è dunque la collaborazione, la forza del gruppo, che nel panorama indipendente italiano spesso è paradossalmente l’ultimo requisito richiesto. Se “P.O.E. – Poetry of Eerie” è riuscito nell’intento “sociale” che si era prefissato non interessa questa sede, piuttosto ci troviamo ad analizzare un’opera anomala e realmente singolare nella sua composizione finale, un patchwork di idee, linguaggi e stili che ci riporta alla mente quel “DeGenerazione” che segnò l’esordio alla regia, tra i tanti, dei Manetti Bros., Asia Argento e Alex Infascelli, ma declinato in una formula più elegante e compatta. A opera completa, “P.O.E. – Poetry of Eerie” si mostra come un esperimento sicuramente riuscito sotto l’aspetto formale e contenutistico, un’antologia di racconti filmati che ha il pregio di rielaborare Poe a volte con uno stile personale di grande impatto che fa dimenticare che si tratta di un’operazione dal budget estremamente contenuto. Ovviamente, quando ci troviamo a che fare con un film a episodi, è normale trovare una discrepanza qualitativa tra corto e corto che nel caso in questione si traduce in una forse esagerata mole di episodi inseriti, che però hanno il pregio di tenersi su livelli medio-alti. Il corto che apre il film è “Il silenzio”, scritto e diretto dai fratelli Capasso, che in passato si erano già cimentati in modo più o meno diretto con Poe nel corto “L’occhio”. E si tratta di un inizio folgorante perché “Il silenzio”, tratto da un sonetto “minore” nell’opera dello scrittore americano, è l’episodio più inquietante e riuscito dei tredici. I Capasso fondamentalmente azzerano l’opera di partenza pur tenendo centrale l’elemento del silenzio, come demone – però interiorizzato – del senso di colpa. Il corto gioca a mescolare l’immaginario di Poe con la tensione tipica della ghost story cinematografica, creando un riuscito omaggio – voluto o meno – a “La goccia d’acqua”, mitico episodio diretto da Mario Bava per “I tre volti della paura”. Secondo episodio affidato ad Alessandro Giordani che prende il racconto breve “La sfinge” e lo stravolge completamente per dar vita a qualche cosa di sostanzialmente differente. Poe parlava di percezione visiva e paura autoindotta, Giordani racconta invece una storia di incertezze e segregazione. La location è suggestiva e gli attori coinvolti molto bravi (Mariano Aprea e Laura Gigante), ma il ritmo è troppo lento, la voce narrante a tratti invasiva e alla fine si coglie più l’impeccabilità della forma che il vero essere dell’opera. “Gli occhiali”, tratto dall’omonimo racconto del 1844, porta la firma di Matteo Corazza che annulla l’ironia di fondo dell’opera originaria per concentrarsi sull’aspetto più orrorifico. Il risultato è molto buono, uno degli episodi visivamente più ricchi e narrativamente strutturati, capace anche di cavalcare l’onda del torture porn contemporaneo. Prevedibile ma godibile. L’ironia è invece l’obiettivo primario di “Valdemar”, l’episodio diretto dal regista di “Bloodline” Edo Tagliavini. Nel corto c’è tutto del racconto originale, solo che l’intera vicenda è declinata a favore di una comicità grottesca che di fatto trasforma questa versione in una parodia del racconto di Poe. Il risultato straniante e di rottura all’interno del corpus unitario del film fa dell’episodio di Tagliavini uno dei più gradevoli, ricco di gag divertenti e un gusto per l’eccesso che ricorda certi paradossi sclaviani. Lo stesso regista compare in un ironico cammeo. “Il cuore rivelatore” è il quinto episodio, uno dei racconti più celebri dello scrittore portato in scena dalla documentarista Manuela Sica con un’evidente incertezza di fondo. Tutto è affidato alle parole, la vicenda nota allo spettatore è raccontata da una voce off e dalla protagonista della vicenda che legge i “fatti” da un diario ritrovato nella sua nuova abitazione. È l’impostazione di base ad essere sbagliata perché il corto è girato molto bene, purtroppo però la pesantezza della scelta narrativa prevale sulla riuscita complessiva. Al sesto corto dobbiamo fare i conti con “Gordon Pym”, ovvero l’unico romanzo scritto da Poe. Una scelta anomala quella dei registi Giovanni Pianigiani (“La canzone della notte”) e Bruno Di Marcello (“The Terrace”), che partono da un’impresa quasi impossibile – ovvero tradurre in meno di dieci minuti una vicenda complessa e strutturata in centinaia di pagine – per confezionare invece un lavoro originale e riuscito proprio nell’approccio alla materia d’origine. L’idea sembra derivare dai film di Corman, ovvero prendere un titolo notoriamente di Poe e usarlo come pretesto per un prodotto che è invece un insieme di suggestioni tipiche dello scrittore. Il risultato è divertente e mescola “Le avventure di Arthur Gordon Pym” con l’immaginario zombesco/cannibalico in modo diverso da come era descritto nella parte del Gordon Pym letterario presa come ispirazione. Il racconto è svelto, cruento rappresenta uno dei pochi episodi realmente horror dell’antologia. Con il settimo episodio c’è “Il gatto nero”, forse il racconto di Poe più noto al cinema, che Paolo Gaudio traduce con un corto in animazione passo uno. “Il gatto nero” è dunque l’unico vero “intruso” del film, personaggi di plastilina animati in stop motion che creano un’adorabile atmosfera macabra che ha per protagonista lo stesso Poe. La storia è priva di stravolgimenti sostanziali e il risultato ha evidenti richiami al cinema di Tim Burton. Carinissimo e capace di fare la differenza. Rimane piuttosto fedele al racconto anche “Ligeia” di Simone Barbetti, melodramma goticheggiante di ambientazione moderna che traduce per immagini l’incubo della coppia di novelli sposi perseguitati dal fantasma della precedente moglie di lui. L’episodio è ben condotto ma anonimo nello stile e nel racconto, sa un po’ troppo di già visto e malgrado l’indubbia qualità artistica, alla fine fatica ad essere ricordato. “Il corvo” di Rosso Fiorentino è la semplice e purtroppo banale messa per immagini della celebre poesia. Fiorentino realizza in bianco e nero quello che sta sulla carta e che abbiamo visto in tutte le salse al cinema e in televisione senza introdurre nulla che già non si sapesse. Il corvo portatore di sventure è interpretato dallo stesso attore protagonista e regista in uno sdoppiamento anch’esso più volte utilizzato altrove lì dove non c’erano i mezzi e le possibilità di avere un pennuto addomesticato o ricostruito con effetti visivi. Il più debole dei tredici episodi. Il decimo episodio è “L’uomo della folla”, diretto da Paolo Fazzini (“Mad in Italy”) che reinterpreta il bel racconto di Poe in una chiave del tutto nuova che si fa forte di un riuscito colpo di scena finale. Il punto debole di un episodio sicuramente originale e ben realizzato è la ripetitività dell’azione, necessaria però al risvolto finale. Anche qui la voce narrante è a tratti invasiva, lo stile da videoclip spezza efficacemente l’antologia nel suo complesso. “Berenice” di Giuliano Giacomelli (“La progenie del Diavolo”) riesce nel tentativo di rievocare certo cinema gotico italiano riallacciandosi in maniera piuttosto evidente a ritmi, colori e immagini del cinema di Mario Bava (in particolare “La frusta e il corpo”) e Riccardo Freda. La storia esclude l’ossessione del protagonista – fondamentale nel racconto originale - per incentrarsi completamente sulla veglia notturna del cadavere, che si trasforma presto in un incubo a occhi aperti. L’atmosfera efficacemente macabra, i colori saturi e volutamente innaturali e la recitazione – altrettanto volutamente – teatrale, fanno di questo episodio un affascinante e riuscito esercizio di stile. “Il giocatore di scacchi di Maelzel” è l’unico dei tredici episodi a non trasporre nulla di narrativo, bensì si prefigge il complicato compito di ispirarsi all’omonimo saggio che Poe scrisse tra il 1835 e il 1836 per il Southern Literary Messenger. Un corto singolare che riflette ante-litteram il dominio della macchina sull’uomo e viceversa con una metaforica partita a scacchi in cui la meccanicità dell’azione si scontra con il raziocinio umano. Visivamente elegante e fotograficamente molto curato, “Il giocatore di scacchi di Maelzel” ha il limite nel ritmo narrativo forse eccessivamente diluito. Dirige Domiziano Cristopharo e la mano barocca del regista di “House of Flesh Mannequins” si nota. Affascinante il look dell’automa giocatore di scacchi creato (e impersonato) da Leo Capobianco. Chiude il film “Canto”, breve (appena 3 minuti) corto che tenta di tradurre per immagini l’omonima poesia del 1827. Dico “tenta” perché l’autrice Yumiko Sakura Itou contamina Poe con la sua terra d’appartenenza, il Giappone, cercando un compromesso tra due realtà lontane che forse non trova. “Canto”, descrive in pochi minuti un harakiri e si limita oscuramente a questo. Poe non si percepisce e seppure il corto sia visivamente e registicamente di valore, il messaggio non arriva a destinatario. Nel complesso, dunque, “P.O.E. – Poetry of Eerie” si può considerare un’opera riuscita e sicuramente interessante per l’impresa mastodontica portata a termine. La maggioranza degli episodi compresi nell’antologia sono molto validi e comunque si percepisce quel senso di unitarietà tematica che altrimenti sarebbe stato difficile da cogliere mettendo insieme tanti registi dagli stili più disparati. Si ha la sensazione però che la durata, che sfiora quasi le due ore, sia eccessiva e il lungometraggio ne avrebbe giovato in fluidità se avesse contenuto un numero minore di episodi. In preparazione il sequel “P.O.E. – Project of Evil”. Aggiungete mezza zucca.

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