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Roberto Giacomelli
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Catherine Miles si reca in Amazzonia insieme ai suoi genitori in occasione del suo diciottesimo compleanno. Durante una gita in barca, i genitori della ragazza e le guide vengono uccisi da un gruppo di indigeni cacciatori di teste che assaltano l’imbarcazione: l’unica ad essere risparmiata è proprio Catherine, che viene fatta prigioniera. Tra riti tribali, pratiche primitive e la corte dell’indigeno che ha tagliato le teste ai suoi genitori e ora l’ha resa la sua schiava personale, sarà molto difficile per la ragazza sopravvivere e abituarsi a quella vita.
Bistrattato ingiustamente un po’ ovunque, “Schiave bianche – Violenza in Amazzonia” ha l’unica colpa (se di colpa di può parlare) di rappresentare fuori tempo massimo il colpo di coda di un filone ampiamente sfruttato e a quell’epoca ormai morto. Naturalmente mi riferisco all’amato/odiato “Cannibal movie”, sotto genere dell’horror avventuroso che ha fatto la fortuna di alcuni autori nostrani e ha movimentato la scena del cinema di genere italiano tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80. In realtà “Schiave bianche – Violenza in Amazzonia” non è propriamente un cannibal movie in piena regola, dal momento che manca l’elemento principale di
questo tipo di film, ovvero i cannibali, ma si può comunque annettere al genere per tutta una serie di caratteristiche proprie del filone. “Schiave bianche” ha infatti un’ambientazione esotica, una tribù di indigeni che al momento giusto sanno essere ripugnanti (il cibo che mangiano e alcune pratiche curative) e spietati (sono cacciatori di teste e puniscono gli adulteri), alcune scene documentaristiche che mostrano lotte tra animali, abbondanti scene di nudo e la classica morale per la quale l’uomo civilizzato è il vero “incivile”.
Si dice che inizialmente fosse stato chiamato Ruggero Deodato per dirigere questo film (non a caso in alcuni paesi del mondo, come Germania e Spagna, è conosciuto come “Cannibal Holocaust 2”) che rifiutò per dedicarsi a “Inferno in diretta”, fatto sta che “Schiave bianche” rappresenta un bell’esempio di film avventuroso intriso di romanticismo e gore, naturalmente tenendo costantemente presenti i principi dell’exploitation. Le scene violente, seppur presenti, sono inferiori sia per numero che per efferatezza in confronto a molti altri rappresentanti del genere, i massimi risultati sono offerti dalle feroci pratiche della tribù incentrate sulla decapitazione dei nemici, ma è messa in scena
anche una cruenta punizione ai danni di un marito fedifrago, il cui volto viene fatto divorare dagli insetti, e una deflorazione praticata con un gigantesco fallo di bambù. Il parente più prossimo di “Schiave bianche” è probabilmente “Il paese del sesso selvaggio”, prima incursione italiana nel “Cannibal” ad opera di Umberto Lenzi, sia per l’assenza degli antropofagi, sia per la dimensione violenta più moderata, ma soprattutto per l’inserimento di una storia d’amore come fulcro della vicenda. Lì era un uomo bianco ad essere catturato e poi ad innamorarsi di un’indigena, qui è una donna a finire prigioniera e a tramutare il suo odio per l’uomo che ha decapitato i suoi genitori in amore. La contrastata storia d’amore tra i due è resa sufficientemente credibile dalla buona costruzione dei caratteri, anche se la bella schiava è decisamente più credibile del fin troppo “paziente” indigeno.
Il cast, come spesso accade per questi film, non è il punto forte, restringendosi alla sola prova dei pochi attori professionisti, qui capeggiati da una brava ma non eccezionale Elvire Audray, nota al pubblico italiano per aver preso parte ad “Assassinio al cimitero etrusco” di Martino e al cult “Vado a vivere da solo” con Jerry Calà. Dietro la macchina da presa troviamo Mario Gariazzo
(“L’ossessa”), qui con lo pseudonimo Roy Garrett; mentre la sceneggiatura è firmata da Franco Prosperi, il padre del “Mondo Movie”. Musiche suggestive di Franco Campanino, anche se un po’ troppo debitrici da quelle firmate da Ortolani per “Cannibal Holocaust”.
Insomma, “Schiave bianche – Violenza in Amazzonia” è un gradevole film avventuroso che sicuramente non dispiacerà agli amanti del “cannibal movie”.
Curiosità. Il DVD italiano del film di Gariazzo, distribuito dalla Minerva-Rarovideo per la collana “Il cinema segreto italiano” ha stranamente la sola traccia audio in lingua inglese.
Voto arrotondato per eccesso.
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