Witchfinder General backdrop
Witchfinder General poster

WITCHFINDER GENERAL

1968 GB
May 17, 1968

England, 1645. The cruel civil war between Royalists and Parliamentarians that is ravaging the country causes an era of chaos and legal arbitrariness that allows unscrupulous men to profit by exploiting the absurd superstitions of the peasants; like Matthew Hopkins, a monster disguised as a man who wanders from town to town offering his services as a witch hunter.

Directors

Michael Reeves

Cast

Vincent Price, Ian Ogilvy, Robert Russell, Nicky Henson, Hilary Dwyer, Rupert Davies, Patrick Wymark, Wilfrid Brambell, Tony Selby, Michael Beint
Drama Horror History
HMDB

REVIEWS (1)

RG

Roberto Giacomelli

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Nel 1645, nel bel mezzo della guerra civile inglese, l’inquisitore Matteo Hopkins e il suo aiutante John Sterne si muovono di paese in paese in cerca di streghe e papisti da uccidere. I due giungono a Brandstone, chiamati dagli abitanti che accusano il reverendo Lowes di stregoneria, e impiccano l’uomo dopo aver abusato sessualmente della nipote Sara. Saputo dell’accaduto, il soldato Richard, promesso sposo di Sara, giura vendetta all’inquisitore e fa rifugiare Sara in un paese vicino. Nel frattempo, Hopkins, che è a conoscenza dell’uomo che lo sta cercando, arriva proprio nel paese in cui Sara si è stabilita e la cattura con l’accusa di stregoneria. Ci sono opere cinematografiche che il tempo ci sta occultando, film dalla grande forza contenutistica e dall’indiscutibile carica emotiva e visuale che oggigiorno non vengono più (o non lo sono mai stati) sufficientemente ricordati e celebrati. Appartiene sicuramente a questa categoria “Il grande inquisitore”, dramma in costume mascherato da horror truculento diretto nel lontano 1968 dall’inglese Michael Reeves. Prendendo spunto da un romanzo/saggio storico di Ronald Bassett (“Matthew Hopkins: Witchfinder General” del 1966), la American International Pictures affidò al giovane Reeves la regia di questo anomalo film di genere, già, perché a monte dei contenuti e dell’origine “alta” della tematica trattata, “Il grande inquisitore” vuole essere un film di genere, proprio come era consuetudine per gran parte dei prodotti targati AIP. Ma il limite che questa volta scinde l’exploitation dalla “serietà” è sottile e spesso invisibile, tanto che ogni catalogazione risulta stretta o inappropriata per il film in questione. Reeves e il suo co-sceneggiatore Tom Baker vogliono fondamentalmente e apertamente fornire un apologo di condanna al potere: qualsiasi uomo meschino fornito di un minimo di supremazia, intellettuale, politica o economica che sia, è portato ad usarla meschinamente per soddisfare con maggior facilità i suoi più bassi istinti. L’inquisitore Hopkins, armato di credibilità e autorevolezza agli occhi di una massa superstiziosa e impaurita, può dar sfogo al suo sadismo placando la sua sete di sangue, sesso perverso e soldi, che arrivano puntualmente e copiosamente ad ogni località da lui visitata. Nel suo libro, Bennett tira in ballo numeri molto alti, 230 persone uccise per stregoneria in poco più di un anno dal vero Matteo Hopkins, dimostrando così che l’orrore della realtà è a volte incredibile perfino per la fiction. Reeves confeziona così un’opera dalla grandissima forza emotiva, incredibilmente audace per il periodo in cui è stata prodotta. Il ’68 è stato un anno – ma possiamo definirlo anche un vero e proprio periodo storico – di grande e ineguagliabile rottura con le convenzioni precedenti e il cinema non è stato da meno, cogliendo al balzo queste intemperie culturali e sociali riscrivendo completamente linguaggi e modalità produttive. “Il grande inquisitore” è esplicativo in questo senso, capace di affrontare apertamente tematiche “scottanti” come la denuncia del potere e della religione, utilizzando immagini di grande crudezza. Le torture non vengono mai risparmiate allo spettatore e il sadismo e la perversione sessuale del personaggio dell’inquisitore riescono ad assumere una perversa e sgradevole fascinazione sullo spettatore. Basti pensare alla grandissima forza che assumono le immagini finali del film, anticipatrici di una crudezza e di un pessimismo esistenziale tipico dei film più rappresentativi del decennio successivo. Il cast è composto da buoni attori come Ian Ogilvy (“Il killer di Satana”; “La bottega che vendeva la morte”), Rupert Davies (“I cinque draghi d’oro”, “Le amanti di Dracula”), Hilary Heath (“Satana in corpo”, “La rossa maschera del terrore”), ma su tutti regna Vincent Price, nel ruolo del grande inquisitore, che per molti dà qui una delle sue migliori prove recitative. In realtà Price ebbe un pessimo rapporto lavorativo con il regista Reeves, che non voleva che l’attore si esibisse in una recitazione sopra le righe come di consueto e come in definitiva fece anche in questo caso. Infatti si dice che Reeves volesse nel ruolo Donald Pleasence, che aveva apprezzato nel ruolo del malvagio Blofeld in “Agente 007 – Si vive solo due volte”, ma la AIP impose Price in quanto attore di sicuro richiamo per il pubblico. La prova di Price risulta comunque particolarmente convincente e la riuscita del film è sicuramente attribuibile anche al suo apporto. Reeves si stava aprendo una rispettabilissima strada nel genere horror, firmo alcuni buoni film di genere come “Il lago di Satana” e “Il killer di Satana”, ma il suo titolo di maggiore interesse rimane proprio “Il grande inquisitore”, purtroppo ultima sua pellicola, dal momento che morì suicida a soli 26 anni nel 1969. Aggiungete mezza zucca in più al voto finale.